domenica 17 dicembre 2006

Ragione ed utopia

Senza utopia non c'è vita, intesa come fantasia, immaginazione, progettualità. Senza realismo si rischia di sbattere continuamente contro ostacoli insormontabili. Come conciliare questi due aspetti entrambi costitutivi di ogni singola individualità, ma apparentemente irriducibili l'uno all'altro?

2 Commenti:

Alle 23 dicembre 2006 alle ore 15:35 , Blogger Paolo ha detto...

Utopia e realismo sono complementari, perché comunque una persona non ha un suo equilibrio senza di essi.
A mio parere se si propende eccessivamente verso il realismo si rischia di diventare mentalmente chiusi per una visione troppo meccanica e fredda della vita, e questo succede solo nel momento in cui l'utopia, con la sua speranza, non addolcisce o rende più gradevoli certi aspetti, seppur non modificando la realtà.

Tuttavia l'utopia può trasformarsi in illusione pericolosa, dove ci si può rifugiare nei momenti più bui, sempre che non diventi fuga costante dalla realtà - in questo caso diventa una seconda realtà, che allontana dal mondo reale e può portare all'isolamento.

Anche qui è opportuno trovare il giusto mezzo, un perfetto equilibrio tra rigore e sogno, che forse può portare ad una condizione di felicità, in quanto qualsiasi eccesso, sia di utopia che di ragione, porta a infelicità.

Io auspicherei una compenetrazione delle due: che la ragione sia limitata dall'utopia affinché l'uomo non si sconforti davanti alla cruda realtà della vita, ma che sia la ragione ad "ancorare" l'uomo al mondo quando questi si rifugia nelle utopie.

A dir la verità io propendo maggiormente verso l'utopia: come dice Erasmo da Rotterdam ne "L'Elogio della Follia"
"Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia".

E' l'utopia che ha portato l'uomo nel tempo a migliorarsi, rinnovarsi e reinventarsi - poiché inseguiva un'utopia, un sogno; se si fosse fermato alla realtà si sarebbe sconfortato e chissà dove saremmo ora.

Quindi la ragione è forse soltanto un mezzo a portata dell'uomo, che può utilizzarla, ma la ragion d'essere è data dall'utopia, in quanto non c'è utilizzo della ragione (e nemmeno motivo di esistenza per essa) senza un'aspirazione, un'utopia.

E' una posizione particolare quella del sostenere la subordinazione della ragione all'utopia, ma sono convinto che l'utopia sia instillata nell'uomo stesso, sia innata, mentre la ragione va coltivata, sviluppata e diretta dove si desidera.
L'utopia, la fantasia, invece, ci permane sin da quando siamo nati, ed è attraverso essa che rispondiamo alle prime domande che ci poniamo, anche se questa fantasia interpretativa lascia poi spazio ad un realismo che comunque espande i limiti della fantasia, dando ad essa più possibilità di risoluzione.

Concludendo questo confronto-scontro tra ragione e utopia, riporto un'altra citazione dall'"Elogio della Follia" di Erasmo da Rotterdam:

"Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell'uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso. Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure ci sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri e dissennati godrebbero felici di un’eterna giovinezza. La vita umana non è altro che un gioco della Follia."

 
Alle 31 gennaio 2007 alle ore 09:05 , Blogger Melanippe ha detto...

Per conciliare immaginazione e realismo basterebbe semplicemente accettarsi per come si è, lasciare libero spazio al nostro essere.
La convivenza di questi due aspetti è intrinseca in ogni essere umano, per il semplice fatto che siano fatti di corpo e mente.
Ritengo infatti che al corpo, e quindi alle sensazioni fisiche di ciò che ci sta attorno, sia legato un realismo insormontabile, mentre alla mente, e quindi al sentimento, al pensiero, sia direttamente riconducibile la fantasia, tutto ciò che riesce ad andare al di là dell'incombente e del materiale.
Se si ammette quindi d'esser corpo tanto quanto mente, non è difficile che uno tenga a bada l'altro, andando così a creare un equilibrio che non è ovviamente perfezione, ché nell'essenza mortale non è prevista la perfezione, ma che in eccessi e mancanze trova la propria moderazione, che tuttavia non esclude né violenti urti con la realtà, nel caso ci si concentri troppo su speranze, illusioni, sogni e progetti, perdendo di vista il presente effettivo, né momenti di meccanico cinismo dovuti ad un costringersi a restare inseriti in limiti rigidi di concretezza.
La tendenza di ogni essere umano è prevalentemente quella descritta nel primo caso, ovvero il rifugiarsi esclusivamente nei domini della mente e del cuore, quasi come se il nostro corpo fosse un entità a sé stante.
Ma presto o tardi sarà il realismo stesso a scuotere le proprie catene, ricordandoci con forza della sua esistenza, costringendoci a prendere in considerazione anche lui, anche i 5 sensi di cui siamo dotati e che inevitabilmente ci mettono di fronte alle cose per quelle che sono.
Nell'imperfezione di noi esseri umani, tuttavia, c'è una vastità di possibilità infinita, una versatilità che ci permette di far coesistere naturalmente, senza bisogno dell'intervento altrui, tranne per rari casi, ciò che è con ciò che vorremmo fosse.
E' un processo istintivo, che non ha teoria, ma pura pratica.

 

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