mercoledì 25 aprile 2007

Immanuel Kant, un uomo "semplicemente" geniale

La grandezza di un pensatore non si misura sulla coerenza del suo pensiero, né sull'ortodossia o sull'eleganza formale, ma sulla capacità di aprire nuove vie, di porre domande rimaste inespresse, di suscitare dibattiti veri, non chiacchere erudite. Da questo punto di vista possiamo senza timore definire Kant un filosofo straordinario, il più grande, oserei dire, dell'età moderna.
Le radicali domande sul valore della conoscenza umana, sui fondamenti della morale, sul giudizio di gusto, dopo di Lui hanno in ogni caso dovuto fare i conti con le risultanze del suo lavoro filosofico.
Conosciamo le aporie in cui si dibatteva la filosofia europea all'inizio del '700: da un lato la necessità -per chi sosteneva l'esistenza di un sapere universalmente valido- di fondare lo stesso sulla fede dogmaticamente accettata nell'esistenza di Dio (razionalisti). Dall'altro il riconoscimento dell'esperienza come unica base della conoscenza, e la conseguente accettazione del carattere limitato e soggettivo dell'umano sapere.
Kant si formò sui testi di filosofi razionalisti (Wolff). Approfondì a lungo gli studi scientifici cartterizzanti il panorama culturale del suo tempo. Venne infine a contatto con la riflessione di un empirista sostanzialmente scettico come Hume e ne fu "culturalmente" sconvolto. Convinto dell'esistenza di un sapere certo, quello della nuova fisica newtoniana, si propose di dimostrarne la assoluta veridicità e certezza, e lo fece attraverso quella che chiamò la sua "rivoluzione copernicana".
Abbiamo visto come il tema della relazione tra pensiero e realtà, tra le idee e le cose, abbia tenuto campo, da Cartesio in poi, per oltre un secolo, riaccendendo con un linguaggio nuovo un dibattito fortissimo al tempo di Platone e dei Sofisti. Perché la domanda di fondo è esattamente quella che incontriamo nei dialoghi platonici volti alla confutazione del relativismo gnoseologico e morale dei Sofisti, cui Platone contrappone una definizione di "episteme" come sapere valido universalmente (Repubbica) e un agire "giusto" valido universalmente (Gorgia). Va detto tuttavia che, in particolare in quest'ultimo dialogo, Socrate non riesce a confutare le posizioni del politico-sofista Callicle, non c'è una vera soluzione del problema, che ripreso nelle "Leggi" viene risolto sostenendo che vero garante di ciò che è giusto è Dio.
Perché questa lunga digressione? Per sottolineare quanto tempo dovrà passare perché un filosofo trovi argomentazioni più valide e veramente nuove su questo tema, e questo filosofo è Kant.
Quale novità introduce il nostro pensatore su questi temi, dopo una lunghissima gestazione (dal 1770 della "Dissertatio" al 1781 della "Critica della Ragion Pura",) ?
Abbiamo già citato la "rivoluzione copernicana", così infatti Kant chiama il mutamento del punto di vista che dà al soggetto un ruolo attivo e non solo passivo nell'ambito della conoscenza, senza bisogno di trovare giustificazione nelle idee innate e necessitando sì dell'esperienza, ma non solo dell'esperienza.

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