domenica 2 dicembre 2007

Pollicino

Ricorderete che Pollicino, per poter ritrovare la strada di casa, si serve di tante briciole di pane sparse lungo i sentieri del bosco. Anch'io, dovendo percorrere un lungo lasso di tempo, dal XIV se. di Ockham al XVII di Cartesio assai affrettatamente, lascio cadere un po' di briciole di un cibo particolare, perché non vi perdiate del tutto nel lungo tratto di strada che dovrete percorrere.
Con Ockham, si è detto, il pensiero medievale giunge ad un punto di svolta. La netta separazione tra fede e ragione, se da un lato sottolinea i limiti di quest'ultima, le attibuisce in ultima analisi una grande libertà negli ambiti che le vengono riconosciuti: la logica e le scienze della natura.
In questo senso si muoverà la nascente cultura umanistico-rinascimentale. Muta il paradigma del sapere, la cui struttura organica e piramidale, conforme alla struttura della società tutta, che vede al vertice della conoscenza la teologia, si disarticola per così dire, disponendo i vari ambiti della conoscenza e della stessa vita politica, non più verticalmente ma orizzontalmente. Proclamano la propria autonomia la letteratura, con Petrarca, la politica con Marsilio da Padova. La stessa struttura gerarchica della Chiesa viene fortemente messa in discussione. Pensiamo al periodo del papato avignonese e a quello immediatamente successivo, quello dello Scisma d'Occidente. In questo clima di forte rinnovamento, in cui vengono messi in discussione i pilastri stessi dell'Occidente Cristiano: Papato e Impero, il rinnovamento culturale da un lato anticipa, dall'altro accompagna questa rivoluzione.
Abbiamo detto delle radici trecentesche della Rinascenza in Italia.
Cerchiamo ora di individuare alcuni aspetti che ci appaiono particolarmente rilevanti del processo preso in esame.
1) All'inizio fu lo sviluppo della filologia e della filosofia ad alimentare gli "studia humanitatis".
2) In ambito filosofico si accentua l'aspetto "pratico", e quindi etico-politico della ricerca: "agere ed intelligere"!
3) Il pensiero antico viene pertanto affrontato e riletto in modo nuovo. Vediamo come.
PLATONE E IL PLATONISMO
Al Fedone, Timeo, Menone, unici dialoghi di Platone conosciuti nel medioevo, si aggiungono tutti gli altri dialoghi ora tradotti in edizioni filologicamenete avvertite (accademia platonica, MARSILIO FICINO). Si tratta a dire il vero di un Platone letto in chiave neo-platonica, influenzato anche da scritti risalenti ad antiche tradizioni filosofico-religiose orientali, di carattere mistico e sapienzale. Ci preme qui ricordare un pensatore piuttosto singolare: NICOLO' CUSANO, le cui influenze vanno piuttosto ricercate in ambiente tedesco, nella tradizione mistica risalente a Eckhart. Si tratta di un pensatore complesso, del quale vogliamo ricordare almeno gli scritti tendenti alla PACE, sia religiosa che civile, il concetto socratico di DOTTA IGNORANZA, e l'originale idea di Dio come COINCIDENTIA OPPOSITORUM.
ARISTOTELISMO RINASCIMENTALE
Per quanto riguarda l'aristotelismo, il cui centro è rappresentato dall'università di Padova, le nuove traduzioni e interpretazioni lo allontaneranno dal rigido dogmatismo scolastico, piegandolo verso una visione più "naturalistica "
del mondo e della natura, premessa alla nuova visione galileiana.

9 Commenti:

Alle 4 dicembre 2007 alle ore 08:35 , Blogger cris g. ha detto...

Ecco una mia riflessione riguardante proprio il periodo dell'Umanesimo-Rinascimento!
Spero possa essere una considerazione interessante!
Buona lettura,
Cristina



Alla luce del nostro apprendimento sia in letteratura italiana, che in filosofia del periodo rinascimentale ed umanistico, mi appare impossibile immaginare il progresso di cui oggi viviamo senza ricollegarlo alla ricerca di un sapere laico, abbracciato da scienziati, filosofi, artisti e letterati a partire dalla seconda metà del XIV secolo.
Il termine Rinascimento identifica un periodo di grandi mutamenti non solo a livello culturale, ma anche politico, che determinano una rottura con la tradizione medievale: infatti si assiste ad un passaggio da un'epoca completamente dominata dalla spiritualità, in cui la fede si proponeva come fondamento morale e culturale, ad un periodo in cui l'uomo comincia a cercare un sapere aconfessionale, in cui l'antropocentrismo fa nuovamente capolino, fino a diventare misura del nuovo sapere.
Una situazione pressoché analoga si presentò nel V sec. a.C. con Socrate e i sofisti, che posero l'uomo come fulcro della loro ricerca e non la natura, come invece accadde agli antecedenti filosofi presocratici.
Con l'Umanesimo, inoltre, vi fu un'importante riscoperta del mondo classico e in campo filosofico iniziò una nuova valutazione dei pensieri aristotelico e platonico. Tuttavia, come da lei già spiegato, la loro lettura non avvenne senza influenze (come è testimoniato dalla riconsiderazione in chiave neo platonica della filosofia di Platone), ma vi fu, la ricerca del vero scopo della filosofia antica e il ripudio del suo abuso da parte dell'autorità ecclesiale.
Avendo chiaro, quindi, il significato di questo periodo storico, mi sorge una domanda: questa ricerca di un pensiero laico, si può paragonare con l'odierno allontanamento dalla Chiesa e il significativo affidamento alla scienza?
Grazie ai racconti dei miei nonni e alle affascinanti discussioni che spesso facciamo, comprendo che il periodo in cui sono cresciuti, fino, diciamo, ai famigerati anni '60, è stato caratterizzato da un'enorme dedizione alla fede e ai valori etici e morali che il cristianesimo abbraccia.
Sono dell'idea che la popolazione dell'epoca viveva, principalmente, adeguandosi a questi principi perché professati dall'autorità papale e poiché la loro trasgressione era scandalo e fonte di disonore.
La cultura stessa gravitava attorno alla fede, mentre l'arte, pur non essendo “schiava” della Chiesa come nel Medioevo, risentiva ugualmente della moralità propria della società di quel tempo.
A mio parere, questa situazione può essere pressapoco paragonata all'enorme influenza della Chiesa medievale, nonostante gli evidenti passi in avanti in campo di coerenza, impegno sociale e correttezza compiuti nel secolo scorso, non avvenuti in passato a causa delle mire espansionistiche, del potere temporale e dell'immoralità dell'autorità ecclesiastica.
Ritengo che, con l'avvento del boom economico, si ebbe una particolare svolta poiché ci si rese conto del bisogno di porre l'uomo al centro dell'“universo morale” e ciò portò ad una progressiva ricerca della laicità e di una cultura non più indissolubilmente legata alla fede.
Lo dimostrano le attuali ricerche in campo scientifico che, spesso, si contrappongono nettamente ai valori difesi dai Cristiani e l'arte che, troppo spesso, offende la dignità dell'uomo con creazioni turpi, giustificate dalla ricerca della libertà d'espressione.
(Sarebbe interessante ora chiarire qual'è il concetto di libertà d'espressione e la possibile esistenza dei limiti della stessa, ma mi dilungherei troppo!!!)
Quindi, sono certa ci possano essere notevoli analogie tra il periodo umanista-rinascimentale e la nostra epoca, ma ciò che ritengo le distingua nettamente, è il differente valore che la fede viene a ricoprire con la ricerca del sapere laico: infatti, ritengo che nell'epoca rinascimentale si cominciò una ricerca della conoscenza aconfessionale senza respingere le proprie radici cristiane e la propria fede, mentre, oggigiorno, sembra che la ricerca laica sia causata, oltre che dalla sana curiosità intrinseca all'uomo, dall'insofferenza alla rigorosità cristiana cattolica.
Anche se non conosco la filosofia contemporanea, sono certa che essa abbia fornito un indispensabile contributo all'evoluzione della nostra società, proprio come accadde nell'epoca Rinascimentale: ritengo, infatti, che la filosofia abbia avuto un ruolo fondamentale nel progresso sia scientifico che artistico e letterario.
Oggigiorno, tuttavia, ci stiamo rinchiudendo nel nostro piccolo mondo fatto di tecnologie e benessere, dimenticandoci di quanto abbiamo bisogno di filosofare. A mio parere, stiamo rischiando di accontentarci e soffochiamo volutamente quel desiderio di metterci in discussione e di non accontentarci.

 
Alle 9 dicembre 2007 alle ore 00:03 , Blogger carla poncina ha detto...

l'intervento di Cristina risulta veramente interessante e suggerisce domande assai pertinenti. lo riprenderemo in classe.
C.P.

 
Alle 10 dicembre 2007 alle ore 08:52 , Blogger mna ha detto...

Ho deciso di svolgere un approfondimento riguardo le figure che più spiccarono durante il Rinascimento e che non abbiamo avuto modo di affrontare in classe.
chiara maino

Nel corso del ‘500 la riflessione filosofica viene progressivamente ampliando i suoi orizzonti.
Mentre i pensatori dell’età umanistica avevano posto al centro della loro indagine la natura dell’uomo, i protagonisti del rinascimento affrontano temi e problemi che, seppur non “nuovi” in assoluto, sono certo diversi da quelli che avevano caratterizzato i dibattiti precedenti.
Si tratta di tre grandi ambiti di ricerca: le dimensioni, le strutture e gli attributi della realtà naturale, i principi e i metodi con cui l’uomo può arrivare a conoscerla, e gli “strumenti medici” nei quali essa può essere trasformata a beneficio dell’uomo.
A queste nuove convinzioni non corrisponde però, ancora, una netta separazione fra il dominio della ricerca scientifico-tecnologica, e quello della riflessione filosofico-morale. Gli studiosi rinascimentali sono ancora impegnati in una ricognizione unitaria e spesso speculativa sui vari aspetti della natura. Il mondo viene pensato come un continum e il sapere come un patrimonio sì gran composto, ma fondamentalmente unitario.

Marsilio Ficino (1433-1499) fu il maggior esponente della filosofia platonica. Egli infatti, studiò nell’accademia platonica fondata da Cosimo De Medici nel 1462, e la sua tesi filosofica puntò soprattutto su una concezione animistica dell’universo. Il suo pensiero fu accompagnato da un concepimento neoplatonico dell’universo, e appunto, secondo Ficino la realtà metafisica che ha come scopo l’avvicinamento a Dio è composta da 5 ipostasi gerarchiche: Dio, la natura angelica, l’anima, la qualità e il corpo. Questa creazione procede dall’interno, cosicché Dio si manifesta attraverso il mondo e nel mondo.
Secondo il pensatore la natura possiede una propria spiritualità; infatti, hanno un’anima sia i quattro elementi naturali, che le sfere celesti e gli animali.
I corpi inanimati fruiscono anch’essi di un’anima che però è solo il riflesso di quella dell’universo; quest’ ultima naturalmente avrà un grado inferiore rispetto a quella dell’uomo.
Questi “soffi vitali” sono la mediazione tra i vari ordini e formano insieme un unico principio, cosicché l’universo ci appare, secondo Ficino, come un’unità creata da Dio, e dall’intelletto (visione organicistica).
L’anima è quindi fondamentale nel pensiero del filosofo, perché questa è la terza essenza e quindi il centro dell’essere, cioè il punto d’unione tra spiritualità e materia. L’anima / Copula Mundi (perché si trova tra elementi eterni e temporali) è sia divisibile (si diffonde nel corpo), sia indivisibile (semplice ed intera); è immortale, domina il corpo e produce modelli e ragionamenti.
La funzione mediatrice dell’anima si esplica con l’amore, concetto ripreso da Platone che però lo intendeva solo come strumento per arrivare a Dio.
Per Ficino è anche il mezzo per la spiritualizzazione della natura e del corpo; è questo quindi che permette di raggiungere sia il mondo superiore, che quello inferiore (l’uomo cerca di raggiungere Dio e viceversa) e ciò che lega questi due gradi dell’essere è appunto proprio il bene.

Il progetto di Pico della Mirandola invece (1463-1494) si basava sulla conciliazione tra la fede e le diverse filosofie.
Egli volle anche poter dimostrare la similitudine tra il pensiero platonico e quello aristotelico, che già erano stati inquadrati da altri filosofi le cui affermazioni non erano mai state dimostrate.
Nel Discorso sulla dignità dell’uomo il filosofo affermò che, a differenza dell’animale che è istintivo, l’uomo è per lo più razionale ed è l’artefice del proprio destino; questo può anche dominare le passioni e proseguire la conoscenza e raggiungere quindi la somma meta.
Seguendo poi la concezione neoplatonica e stoica, se non che ermetica ed affiancata dalla magia, Mirandola ritenne che l’uomo fosse un microcosmo affiancato al macrocosmo (l’universo ha una sua anima-tale concezione la ritroviamo nel pensiero di Platone) in cui si rifletteva sia il mondo inferiore (materiale e animale), sia quello superiore (spirituale e razionale).
La cabala,della quale egli fece uso, può essere spiegata come una corrente mistica ebraica, a cui Mirandola si riferì, perché questa interpreta i significati più nascosti della Bibbia, ma anche del Torah; una fonte che cerca di approfondire i rapporti esistenti tra Dio e il mondo.
La conciliazione tra la fede e le differenti filosofie può essere secondo me definita un’importante “scoperta” che andò ad aggiungersi alle tre differenti posizioni che i grandi filosofi precedenti avevano raggiunto e assunto: la mediazione agostiniana che esprimeva la potenza e la pressione della filosofia, l’ assunzione della logica da parte di Anselmo in funzione della fede e la relativa conciliazione di Tommaso tra filosofia e teologia.

Scopo principale di questo approfonfimento è la volontà di palesare anche, l' inscindibilità delle dottrine che,a distanza di secoli vennero e vengono rimaneggiate, per dimostrare che, il fine sommo, la ricerca e la scoperta (che forse mai sarà accordata all'uomo) della verità è riscontrabile nella perseverante e genuina semplicità, non nella costruita apparenza, che sembra, nella società moderna oggi più che mai, farla da padrona.

 
Alle 10 dicembre 2007 alle ore 11:25 , Blogger sara bonetto ha detto...

Mi ha sempre affascinato questo periodo, ad iniziare dal suo nome: "Rinascimento", perché trovo che non possa avere una parola così pertinente al suo significato più intimo, più vero.
Infatti il Rinascimento viene sempre indicato come un momento di rinascita dell'uomo e della società, e di ripresa di quei classici che fino ad allora erano stati tanto studiati, ma mai profondamente compresi e capiti.
L'intellettuale rinascimentale, con un leggero tocco di egoismo, spostò la sua attenzione su se stesso, sull'individuo singolo che, da parte sua, aiuta a formare e a completare quell'intricata rete comunicativa che è la società, passando quindi dalla precedente concezione teocentrica, ad una "nuova" e più consapevole, visione antropocentrica.
Penso che una grande conseguenza di ciò fu un ulteriore passaggio avvenuto in quel periodo, ovvero quello tra universalità ad individualità e questa, più di altre, considero più interessante. Infatti penso che, prima di potersi confrontare con le persone che ci stanno attorno, sia giusto, prima di tutto, rapportarsi con se stessi, concentrandosi su quello che in realtà siamo, conoscendo il nostro vero io, quindi realizzare la posizione che abbiamo nella società stessa ed esserne soprattutto consapevoli. Solo dopo ciò penso che saremo veramente in grado di rapportarci con gli altri in modo corretto, infatti, in seguito all’attenzione posta su se stesso, l’intellettuale comprende che è molto importante anche l’approfondimento di altre discipline che in precedenza non teneva in considerazione, ma che ora servono ad arricchirlo maggiormente, quali le “humanae litterae” , il cui studio viene alimentato, come lei ha già detto, dallo sviluppo della filologia e della filosofia. Inoltre, in seguito al rifiuto dell’enciclopedismo medievale, il pensatore non si specializza più in una singola disciplina, ma divenne un tuttologo, un uomo nuovo pronto ad affermarsi nel nuovo mondo in cui stava crescendo.

 
Alle 11 dicembre 2007 alle ore 10:13 , Blogger chantal ha detto...

Nel corso delle mie letture mi sono "scontrata" con l'affermazione:" ..l'intelletto è come il volume di una sfera che cresce per tutta la vita.Il non conosciuto è tutto ciò che sta fuori dalla sfera.Infine la coscienza del non conosciuto è rappresentabile come la superficie della sfera e,anch'essa ,cresce in proporzione all'aumentare della sfera.Ecco perchè chi più sa,più sa di non sapere" .Mi sono soffermata a leggerla,rileggerla,analizzarla;il sapere,la conoscenza,che eterno mistero.Io conosco il bello perchè lo contrappongo al brutto,conosco il buono perchè lo contrappongo al cattivo,e così via.Ma io chi sono; forse esisto,ma chi sono. La teologia mi insegna che sono l'immagine di Dio: ma chi è Dio e se non conosco Dio come posso conoscere me stesso.Ed io non potrò mai conoscere Dio finchè faccio parte di questo finito e dunque finchè mi trovo in questa vita.Ecco che mi vedo un individuo alla ricerca di se stesso e della verità. La consapevolezza della propria ignoranza ha come conseguenza il desiderio di esplorare se stessi,i propri limiti ,e con ciò, i limiti della condizione umana.L'uomo può avere,riprendendo Cusano e il suo concetto di " dotta ignoranza" ,soltanto una conoscenza limitata di se stesso,del mondo e di Dio,consapevole che non potrà mai esaurire la propria ricerca della verità.Cusano ricorre ad un'immagine destinata a diventare celebre,per illustrare questa idea della conoscenza come processo infinito:quella del cerchio e del poligono.La verità sarebbe dunque un cerchio e l'intelletto umano un poligono inscritto al suo interno: quanti più angoli avrà il poligono inscritto tanto più sarà simile al cerchio,tuttavia non sarà mai uguale.Il sapere appare perciò come un processo infinito,a partire dalla constatazione che la conoscenza umana è invece limitata,tutt'altro che in grado di progredire all'infinito.Alla dotta ignoranza è giusto contrapporre l'autentica ignoranza. E la cosa più pericolosa dell'autentica ignoranza è l'illusione della conoscenza che secondo me conduce all'arroganza.

 
Alle 13 dicembre 2007 alle ore 05:37 , Blogger chantal ha detto...

Come Pollicino ieri ho seminato alcune briciole di filosofia nel desiderio poi di continuare il mio percorso ripartendo dal concetto di "dotta ignoranza".Cercherò di essere il più possibile chiara e semplice nella speranza che chi mi legge,completi la lettura di quanto scriverò,senza abbandonare il tutto perchè considerato noioso o pesante.
Il concetto di "dotta ignoranza non è certo nuovo nella storia della filosofia:l'abbiamo incontrato in Socrate nel concetto socratico del "sapere di non sapere"come unica vera forma di sapienza.Secondo l'oracolo di Delfi non c'era ad Atene uomo più sapiente di Socrate. Socrate riporta questo divino responso ai suoi allievi ma rifiuta di accettarlo: è troppo conscio della propria ignoranza per potersi dire sapiente. Decide quindi di interrogare coloro che ritiene più sapienti di lui scoprendo,però,che tutti gli uomini,dai politici ai poeti,agli artigiani,sono ignoranti nel campo della vera sapienza. A quel punto Socrate si scopre davvero più sapiente degli altri,se non altro perchè almeno sa di non sapere. La consapevolezza della propria ignoranza diventa pertanto la prima tappa sulla via della sapienza. Cusano applica però questo concetto all'interno di una visione del sapere come processo infinito,a partire dalla constatazione che la conoscenza umana è invece limitata. Cusano sostiene che l'uomo può avere soltanto una conoscenza limitata del cosmo e di Dio,ma la sua forza è proprio quella "dotta ignoranza" che consiste nel sapere di non sapere. Proprio perchè spronato dalla consapevolezza della propria inadeguatezza,l'uomo si sforzerà di conoscere sempre meglio il mondo e Dio.Ma qual è il rapporto tra Dio e il mondo?. Dio è infinito e in lui sono contenute tutte le cose; nello stesso tempo egli si manifesta in tutte le cose. Il mondo e Dio quindi si compenetrano: il divino è nel mondo , e il mondo finisce con l'essere esso stesso un'imitazione della divinità. Questo ci aiuterebbe a capire come mai,pur essendo impossibile giungere alla conoscenza di quello che Dio è, è comunque possibile rintracciare nel mondo della natura i segni della presenza divina.E' interessante ora rifarsi ,invece,alle considerazioni di Marsilio Ficino secondo il quale il mondo e Dio sono legati reciprocamente tra loro dall'amore,visto come l'essenza dell'anima umana. L'amore è pertanto quella forza che agisce su entrambi: se da una parte Dio dà forma al mondo e lo governa per un atto d'amore, dall'altra il mondo stesso tende alla divinità spinto dall'amore. L'anima dell'uomo può pertanto aspirare alla contemplazione dello splendore invisibile che illumina tutte le cose. Ma se allora Dio è amore e l'amore lega Dio all'animo umano, come si spiegano il male ed il peccato. Ciao a tutti e a domani

 
Alle 17 dicembre 2007 alle ore 06:33 , Blogger chantal ha detto...

Il mio pensiero si evolve utilizzando pensieri di filosofi studiati in precedenza da ricollegare a coloro che interessano il periodo ora in questione.Pertanto ritornando alla mia ultima affermazione,se Dio è amore,è onnipotente ed infinitamente buono,come è possibile che permetta l'esistenza del male?Torniamo per un attimo ad Agostino il quale ci dà una risposta molto filosofica,ma poco realistica,sostenendo che il male in sè non esiste,che esso in realtà è soltanto assenza del bene,per capirci meglio è come dire che il buio è assenza di luce.Questa assenza è ciò che noi chiamiamo peccato,qualcosa che esiste solo in quanto negazione,ma che di per sè equivale ad un niente.Da un punto di vista pratico ognuno di noi ,però,può constatare l'esistenza di terribili mali nel mondo,ma Agostino,considerando il mondo e l'universo nella sua totalità,ritiene che anche i mali possono rivelarsi necessari e quindi rispondenti ad un disegno buono.Questo male,che di per sè non esiste,vive tuttavia in quanto oggetto delle scelte umane.Sì perchè Dio ha dato all'uomo il libero arbitrio,cioè la possibilità di decidere autonomamente se realizzare il bene o al contrario scegliere di percorrere la via del peccato(inteso come il male). Ma di fronte all'onnipotenza divina ,l'uomo non può che rendersi conto della propria inadeguatezza:non sarà mai in grado di conquistare la salvezza e quindi giungere a Dio,con le sue sole forze,poichè senza l'aiuto divino non è possibile sfuggire al peccato e quindi al male.Su questa base Lutero rilegge il pensiero di Agostino giungendo alla conclusione che la giustizia divina non consiste nel premiare atti definiti buoni e nel punirne altri,i cattivi,ma piuttosto la volontà di rendere giusti i peccatori ,attraverso il dono della grazia.Secondo Lutero l'uomo non può possedere il libero arbitrio,cioè la capacità di decidere liberamente del proprio destino scegliendo fra il bene ed il male,poichè questo significherebbe negare l'onnipotenza di Dio.Infatti se Dio è onnipotente,e non possiamo allontanarci da questo concetto,è d'obbligo presumere che nulla possa avvenire nel mondo se non in accordo con la sua volontà.Ma allora come possiamo pensare che un uomo possa decidere di compiere il male in contrasto con la volontà di Dio?E' logicamente impossibile; da ciò ne deriva che la salvezza non potrà mai essere raggiunta dall'uomo se questa non è già stata prevista nei piani di Dio. Perciò ogni singolo uomo è dunque predestinato alla salvezza o alla dannazione.E' Dio che lo decide e noi non siamo in grado di conoscere i motivi di tale scelta.Le opere buone in sè non hanno valore,nè conta l'intermediazione della Chiesa.La salvezza dell'uomo dipende esclusivamente dalla fede individuale e dalla grazia divina.

 
Alle 18 dicembre 2007 alle ore 13:02 , Blogger sara bonetto ha detto...

Considero molto interessante lo studio di Niccolò Cusano, filosofo tedesco da lei menzionato.
Nikolaus Krebs (latinizzato Nicola Cusano) nacque a Cues, una piccola città nei pressi di Treviri, nel 1401 e studiò presso le università di Heidelberg, Padova e Colonia. Dopo aver preso parte al concilio di Basilea pubblicò il “De concordantia catholica” con l'intento di esprimere una posizione moderata all'interno del Concilio.
La sua vita all'interno della Chiesa fu assai attiva e propositiva, al punto che il Papa Eugenio IV lo inviò a Costantinopoli quale capo della delegazione per esprimere l'intento della Chiesa cattolica di riunificare le Chiese occidentali con quelle orientali tramite il concilio di Ferrara-Firenze.
Un'altra importante opera del tedesco sarà “De pace fidei”, opera incentrata sulla questione turca e nettamente indirizzata verso un allentamento delle tensioni in favore di una tolleranza reciproca. Cusano morì nel 1464: vita non lunghissima, ma che ha lasciato traccia in molti rami del sapere: filosofia, teologia, matematica, astronomia. ( Inventò, tra l'altro, l'igrometro, lo strumento che misura l'umidità atmosferica.) In astronomia anticipò Galileo, ipotizzando un universo infinito che, ovviamente, non poteva avere la Terra al centro (l'infinito non ha un centro), in quanto esplicazione di Dio (ossia il Suo dispiegamento nello spazio, nella molteplicità e nel tempo), infinito, quindi infinitamente superiore all'uomo, e ciò che è infinito solo in parte potrà essere conosciuto da ciò che è finito.
In filosofia introdusse la teoria della "dotta ignoranza" e della "coincidenza degli opposti".
Alla profonda crisi attraversata dalla Chiesa tra il Trecento e il Quattrocento non si poteva più ovviare con le tradizionali armi teoretiche, anch'esse messe in discussione dall'evoluzione della tarda scolastica. L'emergere in tutti i campi culturali di una mentalità razionale che assegnava il primato alla comprensibilità e al calcolo, ha come ripercussione una filosofia profondamente laicizzata nei cui termini andavano poste le questioni della legittimazione del potere. Di fronte all'alternativa tra assertori del primato del Papa e del primato del Concilio, Nicolò Cusano si schiera tra i primi, affermando che nel Papa è «complicata», cioè concentrata e riassunta, la realtà dell'intera Chiesa. Uno dei molteplici suoi paradossi si incontra quando egli tenta di comprendere il senso del potere del Papa stesso: ricevuto direttamente da Dio a servizio dell'armonia di tutta la Chiesa, esso dunque si auto legittima e può essere solo valutato realisticamente in base ai suoi effetti.
Il pensiero di Cusano si fonda sull’idea che la possibilità di conoscenza si basa sulla proporzione fra noto ed ignoto. Infatti, nella sua opera “De docta ignorantia”, lo stesso filosofo afferma che ciò che si conosce, lo si conosce solo mettendolo in relazione con ciò che non si conosce. Tale posizione è l’unica che si può prendere davanti a Dio, quale Essere perfetto ed infinito, inconciliabile con la possibilità di conoscenza di esseri imperfetti e finiti, quali gli uomini. In questo modo Cusano si riallaccia alla tradizione trascendentale del Platonismo cristiano, ma ne rielabora a modo suo i concetti, inoltre, affermando che tutto ciò che di Dio affermiamo non è più vero di ciò che di Dio neghiamo, riprende il socratico “sapere di non sapere”, in quanto tale è l’unico modo per pensare a Dio. Nonostante ciò, questa affermazione non rappresenta una semplice ignoranza, ma la più alta sapienza dell’uomo, che, riconoscendo la sua totale insipienza, ma impegnandosi nel tenere in ogni caso di approssimarsi a Dio, può trasformare la sua ignoranza in dotta ignoranza; la vera conoscenza di Dio, e dunque la vera nobiltà intellettuale, è avvicinarsi indefinitamente a Dio, cioè alla Verità, non per gradi, poiché sarebbe impossibile dar dei gradi all'infinito, ma in un perpetuo ed unico sforzo che dalla totale ignoranza ci porta alla totale conoscenza (cioè Dio). Anche la conoscenza del reale non potrà che essere una conoscenza congetturale, poiché il soggetto che studia i campi del sapere potrà conoscerli alla perfezione (ossia fin nella loro natura intrinseca) soltanto se riuscirà a compenetrarli e a diventare, paradossalmente, gli oggetti di studio stessi. Cusano pone dunque un chiaro limite alla ragione umana, che non può andare oltre il finito, e che, dunque, di fronte all'infinito non può che annullarsi, e in questo diventare infinita. Il concetto di episteme, quindi, per Cusano è assolutamente impossibile, dacché non è possibile cogliere Dio nella Sua totalità nel durante finito, o anche nella Sua parzialità attraverso dei gradi, che dovrebbero essere infiniti e dunque sempre fuori dal finito che è l'uomo. Ne porta l'esempio della misurazione di una circonferenza: l'uomo semplifica il problema ipotizzando la circonferenza come un poligono che ha infiniti lati, ma l'infinito non è proprietà della geometria, scienza finita, e la circonferenza risulterà allora da una semplificazione. Egli usa intenzionalmente termini matematici e geometrici, i quali hanno la proprietà delle cose finite (e quindi umane), per mettere in luce l'impossibilità umana di conoscere e provare l'infinito attraverso la ragione, infinito che Cusano identifica in Dio. Dio è sia affermazione che negazione ed in Dio convivono i contrari poiché Egli è l'assoluto, ma visto che nell'uomo il principio di non contraddizione, che permette di riconoscere le cose secondo la loro differenza, è il principio primo della conoscenza, di fronte alla soluzione del principio nella totalità divina, la ragione umana si arresta perché non può comprendere. Di fronte all'impossibilità di definire in modo certo la natura infinita di Dio, l'uomo diventa uno spettatore della Creazione, ma non uno spettatore passivo, infatti l'uomo è il fine ultimo della Creazione, creato per riconoscere il valore divino della Creazione stessa. Dio si può riconoscere, allora, seguendo la strada della teologia negativa (definendo ciò che Dio non è) o seguendo la strada della teologia positiva (affermando che Dio è l'infinito), la terza via è la parola di Cristo, ma quest’Ultimo è l’unione del divino e dell’umano ed è anche Dio, quindi la sua "infinità" divina è per l'uomo motivo di imitazione terrena. In questo processo di imitazione l'uomo sperimenta le possibilità della sua perfettibilità, del suo continuo tendere al miglioramento. Questa tendenza deve necessariamente sfociare, sul piano civile, in una etica del dialogo tra gli uomini, sviluppo naturale delle capacità di miglioramento proprio dell'essere umano. Il dialogo, data la sua capacità di mediare tra le diverse istanze morali e politiche, è l'unica forma di riconciliazione dei dissidi che garantirebbe una sostanziale coincidenza degli opposti.
Il 1453 è l’anno di una delle più sanguinose sciagure della storia: la caduta di Costantinopoli. Nel maggio di quell'anno, il giovane sultano Maometto II abbatte ogni resistenza ed entra nella città (che da allora si chiamerà Istanbul) dando ai suoi soldati libertà di massacro e di saccheggio per tre giorni: quarantamila morti, altrettanti e più i prigionieri, stragi, stupri, crudeltà atroci, chiese violate, distruzioni senza limiti. Lo stesso Maometto II, di fronte all'orrore che ha scatenato, rimane allibito.
Più sconvolto rimane l'occidente che, da canto suo, mandò una crociata contro i turchi, ma Cusano si oppone fortemente e dice che non è questa la via perché bisogna avere il coraggio della pace: vendicare il sangue con il sangue in nome di Dio e della religione è la peggiore offesa al Vangelo che si possa concepire. E non solo al Vangelo, ma anche alla profonda ed innata fede in Dio che abita nell'anima di ogni uomo, a prescindere dalla sua religione.
Nonostante l’inattuabilità di questa affermazione, Cusano, ispirato da un forte impatto emotivo, ha una visione grandiosa, tra cielo e terra, un sogno che di colpo estende la sua ansia di pace all'umanità intera. Nasce così "La pace della fede" (De pace fidei), un libro scritto in fretta, nell'emozione del momento, in un linguaggio che molti giudicano poco elegante per un uomo di cultura (siamo in pieno Umanesimo), si tratta di una specie di "concilio in cielo", a cui partecipano personaggi delle varie religioni e dove gli angeli portano la tremenda notizia della caduta di Costantinopoli, ma Gesù, il Verbo di verità, fa udire la sua parola di pace: "Siano ricondotte tutte le religioni ad un'unica fede, con il consenso di tutti gli uomini. Ma, attenti: non con la forza e con la distruzione degli idoli, ma nel rispetto e nella tolleranza”. Anche San Paolo partecipa al "concilio" e afferma: "La salvezza dell'anima avviene per la fede… Una volta riconosciuto ciò, la varietà dei riti non turberà più nessuno. I riti possono cambiare, la verità resta immutabile". Il filosofo spera che dopo quel "concilio in cielo" si realizzi il sogno di un "concilio in terra", che dovrebbe aver luogo a Gerusalemme, la città della pace, per tradurre in realtà questa utopia di pace.
Secondo Cusano, la vera religione è la cristiana, ma i credenti delle altre, senza saperlo, in realtà adorano lo stesso, unico vero Dio, sotto altre forme. Non si tratta perciò di togliere alle genti le credenze, le pratiche religiose a loro tanto care, ma di cercare ciò che ci unisce, nell'unica fede in uno stesso Dio, e nel nome di quel Dio dar vita a una pace religiosa che si tradurrà ovviamente in una pace politica ed in una fraternità senza più guerre.

Penso che questo aspetto di Cusano sia molto importante in quanto con ciò egli evidenzia la sua straordinaria mentalità moderna, ovvero la sua visione profetica di una "pace della fede" non solo tra Chiese cristiane d'oriente e d'occidente, ma addirittura tra tutte le religioni. Credo inoltre che questo suo “progetto”, questa sua proposta, se pur eternamente e disgraziatamente utopica, rappresenti un desiderio attuale ai nostri giorni, più che mai insanguinati dalle “guerre di religione” e più che mai “imbottite” di ideologie razziste e discriminatorie, di falsità ed ipocrisia, di dolore e sofferenza. Devo dire che queste considerazioni mi premono molto in quanto penso che, sempre e comunque, il dialogo sia “l’arma” migliore e più efficace che esista, in quanto è solo attraverso esso che qualunque controversia dovrebbe venire risolta. Non trovo nulla di più inutile della guerra: se dei capi politici hanno delle problematiche aperte, non discutono per trovare un accordo comune, o comunque un modo razionale di risolvere la questione, ma diventano causa di moltissimi morti innocenti che, da canto loro, pagano con la loro vita la “risoluzione” di problemi altrui. Proprio non lo capisco e, soprattutto, non lo condivido assolutamente. Per questi motivi sono molto vicina a questo aspetto del pensiero di Cusano. Interessante è ricordare che è un pensiero di quasi seicento anni fa!

 
Alle 22 dicembre 2007 alle ore 08:06 , Blogger elena manzi ha detto...

Ho letto con interesse il commento di Cristina, ora concordando, ora dissentendo con il suo pensiero concernente le differenze tra il Rinascimento e la nostra così diversa realtà.
Vorrei ora provare a mettere per iscrittole immediate idee che il suo lavoro ha suscitato in me.


Più volte mi è capitato di guardare il mare da punti altissimi. Sotto di me i fianchi di una costa rocciosa. Lo specchio azzurro e le onde, il cielo di un blu leggermente più acceso. Il sole lontano ma allo stesso tempo così grande. In quei momenti mi sono sempre chiesta cosa altro potesse rappresentare e significare in modo migliore la libertà. Quale altra immagine così viva? E penso di avere compreso la mia piccola porzione di verità. Compreso che la passione e l'amore sono il più grande gesto di fede e, pur rischiando di creare un elenco ripetitivo e banale, aggiungerei anche la ricerca.
Ragionando su tutto questo riesco a giustificare la civiltà odierna che sembra essere accusata, nonchè giudicata, colpevole di un "allontanamento" dalla Chiesa e dai valori etici e morali che Essa predica.
Non ho potuto fare a meno di riflettere riguardo lo sviluppo legato alle scienze e alla tecnologia che ci danno, più di qualunque religione, spiegazioni sempre più concrete e precise e risposte a quelle domande che da sempre l'uomo si pone.
Sono di conseguenza giunta ad una conclusione: le cause di questo tanto discusso "allontanamento" sono ritrovabili nelle situazioni più comuni e quotidiane. Detto ciò, sono tre le situazioni che mi piacerebbe approfondire.
In primo luogo vorrei sottolineare l'importanza e l'influenza di quella "causalità finale" che evidentemente colpì Ockham tanto quanto me. Ogni uomo ha sempre desiderato qualcosa per se stesso e per il benessere proprio, ognuno di noi ha sempre cercato di impegnarsi per conseguire i propri ideali e obiettivi, eppure, a volte, non è riuscito nel suo intento, non è riuscito ad arrivare. Allora perchè credere ad un Dio che non dà risposte? Forse un poco Egoista, Egli ci guarda dall'alto in silenzio. Quanti lutti- per esempio- l'umanità ha dovuto sopportare nonostante una richiesta d'aiuto? Così, alle preghiere per i malati- unica risorsa possibile ai tempi del Rinascimento- si sono sostituite medicine sempre più efficaci e specifiche. Allo stesso modo, l'uomo benestante, guardando il telegiornale, si domanderà il perchè di ogni ladro. Ogni uomo che soffre la fame si chiederà come mai il suo Dio non ascolti il suo grido disperato. E' a questo punto del mio ragionamento che subentra la ricerca, ovvero il rifiuto di una fede fin troppo astratta per le nostre esigenze. La scienza, la tecnologia, non sono altro che un tetto e un pasto caldo per chi non ha una casa.
In secondo luogo trovo che sia inutile e alquanto disdicevole colpevolizzarci di "allontanamento" quando, allo stesso tempo, ci vengono forniti esempi comportamentali sbagliati proprio da alcuni di coloro che dovrebbero rappresentare la Chiesa.
Come ultimo ma non meno importante punto, vorrei prendere in causa il nostro tipo di società e, con esso, il nostro stile di vita che spinge sempre più verso un continuo progresso come in un circolo vizioso. Rimane sempre vero che con un aumento di povertà si avrà un incremento di fede- "la religione è l'oppio dei popoli", diceva Marx-; al contrario, man mano vada diminuendo la povertà si avrà un calo progressivo di credenza poichè, anche se i soldi non sono tutto, essi ci permettono di modellare la vita a nostro piacimento senza la necessità di Un'Entità Superiore che lo faccia al nostro posto.


Per concludere. sono comunque certa che sia altrettanto importante ricordare e tenere ben presente ogni chiesa gremita di fedeli, ogni mano congiunta in segno di preghiera fuori da una sala operatoria, ogni sorriso che riceviamo e che doniamo... E, dopo averlo fatto, chiedersi se sia davvero giusto e sensato parlare di "allontanamento".
Elena Manzi

 

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