BUON 2008!
Carissimi,
ho riletto i vostri testi e mi sono soffermata sugli ultimi, mai commentati, di Chantal, Sara, Elena. Devo dire che sono stata piacevolmente stupita dalla qualità e dalla serietà delle riflessioni fatte. Testimoniano del fatto che i giovani sono assai più seri nel loro porsi dinanzi alle grandi problematiche dell'esistenza di quanto comunemente gli adulti non credano.
Continuate a pensare, a riflettere e il vostro mondo, il mondo intero, ne risulterà arricchito.
A presto,
C.P.
3 Commenti:
Ecco il mio commento. Buon 2008 a tutti!!
Samantha Pegoraro
Il rapporto con il passato: una convenienza?
Con la critica novecentesca riguardante il Rinascimento e l’Umanismo si assiste ad un’inversione di marcia nella considerazione di questi periodi in relazione al Medioevo. Si parla, infatti, di una visione più legata all’idea di continuazione tra l’età di mezzo e Umanesimo che di una totale rottura tra le due epoche. Prendere una posizione definitiva non è cosa facile e se spesso si sente dire che la verità stia nel mezzo, logica conseguenza ne risulta la presa in considerazione di ambedue le teorie in modo da poter avere un panorama completo della realtà del tempo.
Se da una parte si assiste ad un avvicinamento allo studio delle humanae litterae, ad una considerazione diversa della fede senza prendere per forza le distanze da essa ma facendola convergere in ambiti specifici, dall’altra il rapporto con il passato viene non solo riletto e riaffrontato ma anche e in buon parte travisato. E non solamente in buona fede.
Nella continuazione medievale del grande ruolo occupato dalla Chiesa, l’Umanesimo e il Rinascimento vedono distinguersi, nel periodo antecedente, due diverse interpretazioni dell’importanza della fede rapportata alla ragione.
Se con Tommaso d’Aquino la ragione è ritenuta importante, ma limitata in quanto può sbagliare, essere corrotta e rappresenta un mezzo che permette di raggiungere la fede(quest’ultima si colloca quindi in un livello superiore), con Ockham la filosofia medievale conosce la propria svolta nella separazione di fede e ragione.
Se paragonassimo la filosofia di questi periodi ad un albero potremmo osservare che se l’ideologia medievale caratterizzasse le radici, quella umanistico-rinascimentale si collocherebbe nel tronco, e il rapporto che si verrebbe a creare tra queste sarebbe fondamentalmente di tipo continuativo. Il tronco quindi non può che essere assolutamente influenzato e influenzabile nei confronti delle sue radici, tanto da nascere come conseguenza di esse.
L’interpretazione erronea del passato si identifica non solo nella visione prettamente neo-platonica e cristiana di Platone, ma anche nella disputa tra Aristotelici e Platonici, come si trattasse di due entità completamente distinte, ignorando che la seconda abbia ricevuto notevoli influenze dalla prima. Bessarione fu uno dei pochi a capire che tra i due filosofi esiste un accordo di fondo, un dialogo continuativo seppur distinto per le novità apportate da Aristotele, ritrovabile nella lettura delle loro opere. Nonostante la parziale neutralità, in Bessarione si denota una considerazione più rilevante nei confronti di Platone, giustificata dall’idea che il filosofo greco si fosse maggiormente avvicinato alla verità del Cristianesimo.
A questo punto ci si chiede se mai Platone abbia avuto come scopo o obiettivo l’avvicinamento alla verità del Cristianesimo, una religione a lui completamente sconosciuta e totalmente diversa dalle credenze del tempo. E qui si viene a delineare ciò che è stato definito come “rilettura dell’antico”.
Mi chiedo se questa nuova interpretazione della filosofia passata sia stata affrontata in modo sincero o se fosse stata sfruttata per avvalorare le tesi di quel periodo. Mi chiedo se davvero tutti i filosofi o i papi, nel lasso di tempo che va dal 1400 al 1500, si siano affidati all’antico lasciandosi influenzare dalla verità già data in partenza e identificabile nella fede in Dio o se abbiano voluto, a modo loro, costruire una verità da poter far riflettere su loro stessi e sui lettori delle loro opere, per cercare di chiudere le porte nei confronti di una ricerca spirituale individuale. La corruzione religiosa che si era creata in quel periodo, dove si predicava la purezza e si praticava il concubinato, dove i figli illegittimi dei papi non creavano scandalo ma, anzi, occupavano ruoli importanti all’interno della politica della penisola (un esempio può essere Cesare Borgia), dove la vendita delle cariche e delle indulgenze sfamava il lusso dei curati piuttosto che le bocche dei mendicanti, è in forte contrasto con i principi primi della Cristianità. E di questo si resero conto gli intellettuali coevi, iniziando un processo conclusosi con riforme e controriforme, concili e vittime. Vittime perché avevano creduto in qualcosa di diverso, vittime perché avevano osato intaccare l’unità ideologica della Chiesa, vittime perché avevano scelto di non imparare a memoria la santa messa senza poterla capire, vittime perché avevano deciso di mettersi in discussione.
Mi chiedo ancora se tutto questo scrivere e pensare, tutto questo affermare sul rapporto fede e ragione, sulle credenze passate, sulle verità già date non fosse anche una mossa politica ben studiata.
Se è vero che “la religione è l’oppio dei poveri” mi chiedo se al tempo questa possibilità fosse già stata presa in considerazione per esercitare un potere ancora più radicato e forte nei confronti delle classi più deboli, borghesi o poveri che fossero.
Cara Samantha, mi riallaccio alle domande che poni alla fine del tuo intervento. La religione può essere usata come "instrumentum regni", direbbe Machiavelli? Certo, lo è stato allora come oggi, nel 2008. Pensa all'uso politico della religione da parte dei teocon americani o di certa destra in Italia, che esalta in televisione i valori cristiani e nella vita privata non si priva di alcun vizio. ma naturalmente la religione in senso proprio, autenticamente vissuta, oggi come in passato, è tutt'altra cosa, e potrei fare mille esempi a partire dal Vangelo.
Altro problema, più culturale, è quello dell'"aggiornamento" dei classici, che ogni epoca, ogni generazione, direi ogni individuo, rilegge a modo proprio. ma è proprio questo uno dei motivi che li rende sempre vivi e attuali, il saper rispondere ai bisogni dell'uomo nelle più varie condizioni.
A presto, C.P.
Anna P.
In classe non abbiamo avuto modo di approfondire Niccolò Machiavelli, così in questo commento ho cercato di delineare il suo profilo e il suo pensiero.
Come è già stato detto, con l’avvento dell’Umanesimo-Rinascimento,inizia una fase di rinascita e cambiamento, dove l’uomo ne è il protagonista. L’attenzione quindi si sposta sui valori terreni, sulla vita e sulla società e Machiavelli incentra il suo pensiero proprio sulla politica di fine ‘400 e inizi del ‘500.
Niccolò Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia nobile ma di modeste condizioni economiche.
A partire dal 1498 entra al servizio della repubblica come segretario di cancelleria. Fino al 1512 Machiavelli avrà modo di conoscere, viaggiando, vari protagonisti della storia del suo tempo, creandosi così delle idee che saranno poi alla base delle sue più grandi opere: “Il Principe” e i “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”.
La maggiore produzione letteraria si sviluppa dal 1513, dopo il licenziamento dall’incarico di segretario, fino al 1520, quando riprende il servizio pubblico grazie al cardinale Giulio de Medici.
Gli ultimi anni della sua vita, Machiavelli li trascorre viaggiando per l’Italia, finché nel 1527 venuto a conoscenza della caduta del regime mediceo, torna a Firenze dove ammalatosi, improvvisamente muore.
Machiavelli può essere definito il primo scrittore politico dell’età moderna. Il suo pensiero infatti, ruota intorno a dei punti fondamentali esposti principalmente nel “Principe” e nei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” . In essi descrive quali abilità deve avere un capo di stato, ovvero il principe, per creare e mantenere un principato nonché per esercitare il suo potere verso i suoi sudditi.
Una caratteristica del suo pensiero che mi ha particolarmente colpito è l’importanza che Machiavelli attribuisce alle virtù che deve avere il popolo, ossia le virtù di un singolo. La virtù di Machiavelli è politica riguarda il cittadino non ha niente a che vedere con il significato cristiano dove vi è la ricerca spirituale con lo scopo della preservazione dell’anima per prepararsi all’aldilà.
Vi è solo materialismo dove per raggiungere il successo sono concesse forza e abilità senza scrupoli morali fino ad usare la crudeltà e la frode.
Troppo spesso la televisione ci propone personaggi che hanno fatto della loro vita il successo, sembra tutto così facile! La fama e il denaro sono lì a portata di mano una qualsiasi velina o un isola in mezzo all’oceano o una casa dove l’occhio del pubblico ti spia 24 ore su 24, ti possono cambiare la vita; da uno qualsiasi diventi conteso da show e cinema. Ma ancora: uomini politici corrotti, intercettazioni telefoniche, fotografi senza scrupoli, ricatti ….
Forse Machiavelli non è poi così lontano, sembra che il suo testo sia la lettura preferita di molti.
E’ triste vedere come la TV dia ai più giovani questi esempi, la Tv spazzatura si insinua nelle nostre case con il suo luccichio apparente, ciò nonostante vi è una buona parte di ragazzi fortemente legata ai valori veri. Infatti per me contano molto l’amicizia e la fratellanza, la lealtà e il rispetto tra ragazzi, il “Principe” è decisamente lontano dalla mia sensibilità
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