domenica 21 gennaio 2007

verso un'ecologia della mente

verso un'ecologia della mente




Riprendo i temi della discussione fatta in classe ieri mattina. Ci si riferiva ad un problema in primo piano oggi, riguardante non solo Vicenza ma tutto il Paese: il raddoppio della base americana chiesto dagli USA, voluto da alcune parti politiche, inviso a molti cittadini, pare la maggioranza.
Quello che si cercava di impostare era un dibattito non ideologico, non "urlato", non fondato su pregiudizi o punti di vista troppo soggettivi. Ci era sembrato che la prima cosa da fare fosse mettere in fila vantaggi e svantaggi del si e del no, sulla base di una realistica analisi della situazione che tenesse conto dell'interesse della "Res Publica".
Il tentativo era quello di riprodurre da un lato il modello dialettico appreso attraverso lo studio di Platone, e la conoscenza della pratica argomentativa in uso nelle università medievali, liberata dal peso del dogmatismo (ipse dixit) che gravava sulle stesse.
Il tutto vivificato dalla riflessione politico-filosofica di Hanna Arendt, che definisce l'uomo libero veramente solo nella dimensione della "vita activa". Che significa questo? Che il senso vero della vita umana si coglie non nel lavorare per sopravvivere, e nemmeno nell'operare e creare grandi cose da lasciare in eredità ai posteri, ma solo nell'agire politico, confrontandosi attraverso l'uso della parola, dibattendo, per poter prendere infine decisioni utili a tutta la comunità, che se per i greci aveva la dimensione della polis, per noi moderni ha un respiro assai più ampio.
Mi piacerebbe che voi tutti superaste la superficiale, banale, volgare idea della politica come "cosa sporca" di cui si impicciano gli ambiziosi, riscoprendo con Platone, la Arendt e molti altri la dimensione del vivere comune come la più propria dell'uomo, essere "plurale" per eccellenza, come dice Arendt. Ciò non significa ignorare o disprezzare l'ambito del privato, ma ricondurlo al significato suo proprio, quasi l'ombra in cui ritemprarsi dopo essersi troppo accaldati al sole. Ricordando tuttavia che che solo il nostro agire "politico" ci rende veramente uomini liberi.
Per non volare troppo alto rischiando di cadere, concludiamo con Gaber che in ultima analisi"la libertà è partecipazione"...





Pubblicato da carla poncina alle 8.26 0 commenti Link a questo post    

giovedì 4 gennaio 2007

Questo non è un blog! Per la 5°Cs.

Parlare della Rivoluzione russa un quidicennio dopo il crollo dell'URSS suscita ancora una certa impressione a chi è cresciuto vedendo la Russia sovietica come uno dei due pilastri, assieme agli USA, del potere e dell'ordine mondiale,
scaturito da un trentennio di feroci guerre (1914-1945) che, nate nella vecchia Europa, sono dilagate ovunque.
Abbiamo commentato insieme il fatto che la 1° guerra mondiale portò al crollo di ben quattro imperi: asburgico, tedesco, turco e russo. Le conseguenze forse più vaste sul piano internazionale furono quelle legate al crollo della Russia zarista e comportò la nascita, per la prima volta nella storia, di un vastissimo stato comunista, ispirato alle idee di un grande pensatore politico, Karl Marx, e all'esperienza di decenni di lotte politico-sindacali nei più avanzati paesi d'Europa.
Come abbiamo concordato in classe, non intendo qui proporvene una sintesi, ne potete trovare numerosissime, tantomeno
raccontarvi compiutamente i fatti (le biblioteche sono piene di storie della Rivoluzione russa). Più semplicemente vorrei sottolinearne alcuni aspetti, vuoi per l'importanza vuoi per la problematicità.
La straordinaria arretratezza del mondo orientale, in particolare russo, ha origini antiche. Quando l'Europa centro-occidentale, in particolare dopo la scoperta dell'America, rafforza le sue strutture politiche (monarchia assoluta) e, anche grazie alla rivoluzione scientifica, modernizza i propri modelli sociali (rafforzamento della borghesia) ed economici (sviluppo del capitalismo), la Russia zarista continua a guardare ai modelli delle autocrazie orientali, e se anche grazie alla genialità di Pietro il Grande, nel corso del Settecentro entra pienamente nei giochi politico-militari europei, permane sulla soglia di un vero rinnovamento, mantenendo costumi e consuetudini arcaiche, per non parlare dell'istituto della servitù della gleba che solo nella seconda metà dell'800 verrà formalmente, più che sostanzialmente, abolito.
Bagliori rivoluzionari, inizialmente assai timidi, iniziano a cogliersi. Ne fa fede la diffusione dell'anarchismo, del nichilismo, come pure il fiorire di una grande letteratura che trae ispirazione dai drammi di quello straordinario paese. Ne fanno fede i nomi di Tolstoj e Dostoevskji.
Ma il primo vero incendio rivoluzionario si ebbe nel 1905, in seguito alla sconfitta nella guerra russo-giapponese.
L'insurrezione venne soffocata nel sangue, ma non vennero certo rimosse le cause che l'avevano generata, lo zar non concesse le promesse liberalizzazioni, e quando le sorti di una nuova, più terribile guerra, aggravarono le condizioni di tutto il popolo russo, una nuova, più potente ondata rivoluzionaria divenne incontenibile.

Etichette:

Questo non è un blog! Per la 5°Cs.

Parlare della Rivoluzione russa un quidicennio dopo il crollo dell'URSS suscita ancora una certa impressione a chi è cresciuto vedendo la Russia sovietica come uno dei due pilastri, assieme agli USA, del potere e dell'ordine mondiale,
scaturito da un trentennio di feroci guerre (1914-1945) che, nate nella vecchia Europa, sono dilagate ovunque.
Abbiamo commentato insieme il fatto che la 1° guerra mondiale portò al crollo di ben quattro imperi: asburgico, tedesco, turco e russo. Le conseguenze forse più vaste sul piano internazionale furono quelle legate al crollo della Russia zarista e comportò la nascita, per la prima volta nella storia, di un vastissimo stato comunista, ispirato alle idee di un grande pensatore politico, Karl Marx, e all'esperienza di decenni di lotte politico-sindacali nei più avanzati paesi d'Europa.
Come abbiamo concordato in classe, non intendo qui proporvene una sintesi, ne potete trovare numerosissime, tantomeno
raccontarvi compiutamente i fatti (le biblioteche sono piene di storie della Rivoluzione russa). Più semplicemente vorrei sottolinearne alcuni aspetti, vuoi per l'importanza vuoi per la problematicità.
La straordinaria arretratezza del mondo orientale, in particolare russo, ha origini antiche. Quando l'Europa centro-occidentale, in particolare dopo la scoperta dell'America, rafforza le sue strutture politiche (monarchia assoluta) e, anche grazie alla rivoluzione scientifica, modernizza i propri modelli sociali (rafforzamento della borghesia) ed economici (sviluppo del capitalismo), la Russia zarista continua a guardare ai modelli delle autocrazie orientali, e se anche grazie alla genialità di Pietro il Grande, nel corso del Settecentro entra pienamente nei giochi politico-militari europei, permane sulla soglia di un vero rinnovamento, mantenendo costumi e consuetudini arcaiche, per non parlare dell'istituto della servitù della gleba che solo nella seconda metà dell'800 verrà formalmente, più che sostanzialmente, abolito.
Bagliori rivoluzionari, inizialmente assai timidi, iniziano a cogliersi. Ne fa fede la diffusione dell'anarchismo, del nichilismo, come pure il fiorire di una grande letteratura che trae ispirazione dai drammi di quello straordinario paese. Ne fanno fede i nomi di Tolstoj e Dostoevskji.
Ma il primo vero incendio rivoluzionario si ebbe nel 1905, in seguito alla sconfitta nella guerra russo-giapponese.
L'insurrezione venne soffocata nel sangue, ma non vennero certo rimosse le cause che l'avevano generata, lo zar non concesse le promesse liberalizzazioni, e quando le sorti di una nuova, più terribile guerra, aggravarono le condizioni di tutto il popolo russo, una nuova, più potente ondata rivoluzionaria divenne incontenibile.

Etichette:

martedì 2 gennaio 2007

Dio, "un abisso di semplicità"

Per Ockham "la realtà è composta da individui: l'essere è sempre ed ovunque solo "un" essere, un individuo, le sue articolazioni e ragioni sono quelle dell'individuo "unum numero", "singulare" (Tassinari). La visione strutturale, metafisica della realtà elaborata da Tommaso ad es., o da Scoto, viene sostituita dalla centralità degli individui reali e, corrispondentemente, dalla fisica e dalla logica come attività puramente umane.
Si chiede O. quale rapporto sussista tra l'esistenza e la cosa, se essere ed essenza esistano distintamente fuori della mente, rispondendosi che in realtà "essenza ed esistenza non sono due cose, ma i due vocaboli "cosa" e "essere" significano la stessa ed identica cosa: l'una in forma nominale, l'altra in forma verbale"
Questo mondo di singole esistenze è stato voluto da Dio. In Lui volontà ed intelligenza si identificano. Non c'è alcuna necessità nel mondo, se non quella da Dio stesso "voluta" ma che la ragione umana non è certo in grado di cogliere. Ragione umana che d'altronde risulta del tutto affidabile nell'ambito delle scienze della natura e della logica. Questo apparente paradosso si giustifica col fatto che l'assoluto volontarismo divino "consente" (vuole) l'armonizzarsi delle conoscenze umane con l'ordine del creato. Da questa posizione consegue anche che non esiste un bene assoluto se non in quanto Dio indica con la sua volontà ciò che è bene.
L'uomo in definitiva può conoscere solo quanto gli è dato con l'esperienza. E' interessante notare come l'empirismo, caratteristico della scuola filosofica inglese in particolare negli sviluppi dei secoli successivi, in Ockham ha una matrice teologica (volontarismo divino).
La conoscenza astratta (es. la matematica), pur corretta, non mi dice nulla sull'esistenza reale delle cose, che mi è invece data attraverso l'intuizione empirica.
La gnoseologia di O. si fonda in definitiva su due principi:
-"Entia non sunt moltiplicanda sine necessitate" ("rasoio di Ockham);
-non esistono conoscenze assolute, ma solo probabili anticipazioni di quanto accadrà, poste sulla base dell'esperienza.
Spero che da questa sintesi pur troppo succinta si possa evincere quanto duramente O. abbia contrastato la visione gerarchica del saper fondato sulla teologia, aprendo una via nuova alla scienza moderna.

lunedì 1 gennaio 2007

La semplicità del pensare

GUGLIELMO DI OCKHAM (1280 ca.-1349 ca.)
Chi pensa che i filosofi siano individui che vivono appartati, chiusi nei loro studi, troverà in questo pensatore di frontiera, che si colloca tra la fine del medioevo e l'inizio della modernità la piena sconfessione di questo pregiudizio. Ockham ha infatti attraversato il suo tempo senza evitare nessuno degli scontri teologici, religiosi, politici, che lo hanno caratterizzato, immergendosi nelle sottili diatribe oxoniensi come nell'ambiente per lui assai ostile di Avignone o nella Monaco imperiale.
Francescano, abbraccia, contro il tomismo, l'idea della assoluta inutilità della ragione rispetto alle verità di fede, che provenendo da Dio, che è assoluta onnipotenza, non possono certo venire giustificate dalla nostra misera ragione. Ma paradossalmente proprio questa posizione così estrema gli consente di liberare la ragione stessa dagli stretti lacci della fede, portandolo ad affermare l'assoluta indipendenza dei due ambiti. Le verità di fede non necessitano di alcun aiuto della ragione, ma la ragione sia nell'ambito delle scienze reali (ad es. la fisica), sia in quello delle scienze razionali (ad es. la matematica, la logica), risulta totalmente libera e si dà autonomamente le proprie regole. E' evidente il carattere rivoluzionario di questa posizione che, attraverso la netta separazione tra fede e ragione dà corso ad una "vita nova" del sapere scientifico, che si propone come totalmente autonomo e libero. Naturalmente non fu facile far accettare questa posizione. si è trattato di una strada accidentata lungo la quale numerose sono state le vittime, a partire dallo stesso Ockham, passando per Galileo, Bruno e molti altri ancora, ma proprio questo atteggiamento nei confronti del sapere ha consentito quella che chiamiamo la rivoluzione scentifica del Sei-Settecento e gli enormi progressi che questa ha portato con sè.
Sintetizziamo ora pochi aspetti del pensiero di O. che desidero i miei studenti ricordino:
1)IL NOMINALISMO LOGICO: per O. la logica non può che essere considerata una scienza del linguaggio, senza commistioni con la metafisica. Si tratta di una scienza "pratica", che detta all' intelletto le regole del suo agire. Non consente di raggiungere alcuna VERITA' assoluta, ma ci permette di costruire proposizioni corrette per muoverci nel mondo naturale.
LE PROPOSIZIONI possono essere pensate (in mente=intentiones animi=concetti), proferite (in voce), o scritte (in scripto).
I concetti in quanto intentiones "tendono verso",sono segni e in quanto tali "stanno per" (supponere pro). Ecco in estrema sintesi la famosa teoria della "suppositio". La supposizione è quindi la proprietà che i termini hanno di "significare" qualcosa.
Una proposizione è corretta quando soggetto è predicato coerentemente "stanno per" la stessa cosa. In caso contrario andiamo incontro ad errori "fallacie", che possono essere volontarie o involontarie. le "fallacie" di molti politici sono insieme l'una e l'altra. per essere buoni cittadini, come auspica il nostro presidente Napolitano, bisogna quindi ben studiare la logica ! BUON ANNO, altre idee di Ockham al prossimo post.

La semplicità del pensare

GUGLIELMO DI OCKHAM (1280 ca.-1349 ca.)
Chi pensa che i filosofi siano individui che vivono appartati, chiusi nei loro studi, troverà in questo pensatore di frontiera, che si colloca tra la fine del medioevo e l'inizio della modernità la piena sconfessione di questo pregiudizio. Ockham ha infatti attraversato il suo tempo senza evitare nessuno degli scontri teologici, religiosi, politici, che lo hanno caratterizzato, immergendosi nelle sottili diatribe oxnoniensi come nell'ambiente per lui assai ostile di Avignone o nella Monaco imperiale.
Francescano, abbraccia, contro il tomismo, l'idea della assoluta inutilità della ragione rispetto alle verità di fede, che provenendo da Dio, che è assoluta onnipotenza, non possono certo venire giustificate dalla nostra misera ragione. Ma paradossalmente proprio questa posizione così estrema gli consente di liberare la ragione dagli stretti lacci della fede, portandolo ad affermare l'assoluta indipendenza dei due ambiti. Le verità di fede non necessitano di alcun aiuto della ragione, ma la ragione nell'ambito delle scienze